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Il lavoro dell’ADUIM si articola in commissioni dedicate agli interessi e attività principali dell’associazione.

La Shoah come metafora. Analogie, ibridazioni, accostamenti (“Clessidre. Dialoghi interdisciplinari sulla memoria”, Call For Papers)

Nel dibattito pubblico degli ultimi decenni le analogie con la Shoah sono diventate ricorrenti. È un processo non nuovo (basti pensare all’incubo dell’“olocausto nucleare”), ma che col tempo si è allargato. In gran parte, questi accostamenti hanno riguardato genocidi, o eventi analizzati anche attraverso tale categoria, tanto che nell’ambito anglofono, dal 1945 ad oggi, i due lemmi (genocide e holocaust) si sono diffusi lungo strade interconnesse (Gordon e Perra 2016). È accaduto sul piano scientifico, come in quello pubblico, dove massacri quali quelli perpetrati nella penisola balcanica, in Tibet, in Cambogia, in Ruanda, in Congo, hanno fatto numerosi riferimenti alla Shoah, a loro volta alimentando il confronto sull’unicità di quest’ultima nella storia umana.

Tali rimandi sono stati particolarmente taglienti in alcune letture dei conflitti israelo-palestinesi prodotte in Europa dagli anni ‘70: paragonando ai nazisti prima i militari israeliani, poi la loro classe politica, gli israeliani tutti e, per estensione, gli ebrei nel loro insieme, esse hanno tentato un rovesciamento dell’immaginario storico europeo, in cui gli eredi delle vittime di ieri venivano raccontati come i nuovi carnefici (Marzano e Schwarz 2013). In alcuni casi questi riferimenti hanno riguardato fenomeni in cui non era immediatamente individuabile un attore umano responsabile, quale il caso delle morti per AIDS negli anni ’80. Proprio per questo disallineamento, si è aperto un ampio dibattito di ordine etico relativamente alla liceità dell’utilizzo dell’analogia (Epstein 1997, Caron 2005, Goshert 2005). Questa linea prospettica si rivolge anche al passato: la Shoah è stata utilizzata come metro per valutare, o anche solo come lemma per definire, la tratta degli schiavi, lo sterminio dei nativi americani, i contesti coloniali (e post-coloniali) (Power 1998, Rothberg 2009). La recente storia italiana offre altri spunti, specie per quanto concerne la centralità assunta della figura della “vittima” (De Luna 2011, Giglioli 2014): solo per fare un esempio, notiamo come il lessico e la grammatica mutuati dal discorso pubblico sulla Shoah siano rintracciabili in quello sulla memoria delle vittime di mafia. La cultura visuale ha giocato un ruolo essenziale, promuovendo ibridazioni in cui riflessioni esplicitamente scaturite dalla memoria dei campi nazisti si riversano in rappresentazioni di drammi legati ad altri contesti, come la guerra fredda, la crisi degli stati nazionali, le nuove ondate migratorie, gli attacchi dell’11 settembre (Bangert, Gordon, Saxton 2013). Ultimamente, queste analogie hanno riguardato, tra l’altro, la tragedia dei migranti morti in mare, le discriminazioni contro i componenti delle comunità Lgbtq, gli allevamenti intensivi di animali o le sorti della fauna selvatica, le interruzioni volontarie di gravidanza, persino la pandemia di Covid-19. Sia in passato, sia in tempi più recenti (ad esempio in merito alla giustapposizione tra Anne Frank e giovani attiviste quali Greta Thunberg o Malala Yousafzai), sono intervenuti anche esponenti del mondo ebraico, mostrando diversi punti di vista sulle implicazioni di simili paragoni tra un passato che li ha drammaticamente segnati e fatti del presente che non hanno negli ebrei un loro bersaglio specifico.

Il volume vuole indagare questo processo raccogliendo saggi che affrontino, tra le altre, le seguenti questioni:

– In che modo letteratura, arte, cinema, fotografia, musica si sono riferiti alla Shoah, esplicitamente o meno, per rappresentare temi diversi? Produzioni che nulla hanno a che fare coi campi di sterminio utilizzano immagini, colonne sonore e strutture narrative simili a quelle di opere esplicitamente dedicate a quel pezzo di storia europea?

– Vi sono percorsi biografici, culturali e professionali che mostrino come l’interesse verso la storia dello sterminio degli ebrei abbia rappresentato un punto di riferimento per l’azione svolta su piani differenti?
– Quali iniziative legislative o giudiziarie si sono riferite alla Shoah pur occupandosi di altri casi?
– Pratiche memorialistiche per eventi distanti nello spazio e nel tempo dall’Europa del 1943-45 sono state influenzate da prassi commemorative rivolte invece a quel contesto specifico?

– Le raffigurazioni di vittime legate a tutt’altre stagioni hanno risentito del discorso pubblico sulla Shoah? – In che misura può essere valutata da un punto di vista etico-filosofico la liceità di questi processi metaforici che vedono la Shoah come modello di riferimento?

– In che modo l’associazionismo ebraico o singoli ebrei hanno discusso questi accostamenti?
– Quanto il riferimento alla Shoah è stato ed è efficace da un punto di vista persuasivo? Seguendo quali meccanismi retorico-linguistici?

Le proposte di contributo (1.500 caratteri spazi inclusi) dovranno pervenire entro il 15 dicembre 2021 all’indirizzo a clessidre.redazione@gmail.com Alle proposte andrà allegata una breve nota bio- bibliografica (max 800 caratteri spazi inclusi).
I contributi selezionati (tra 30.000 e 60.000 caratteri, spazi e note incluse) dovranno pervenire allo stesso indirizzo entro il 30 maggio 2022, e saranno sottoposti a un referaggio a doppio cieco.

La pubblicazione del volume è prevista entro il 2022.
La serie Clessidre è open access ed è accessibile al seguente indirizzo: https://www.unipapress.it/it/category/collane_1/verbamanent_100/